Si dice che molto tempo fa, sotto il sole cocente del Madagascar, una donna ricevette un sogno dagli spiriti della foresta. Le apparve un albero sacro, profumato di sabbia e di sale, il cui legno, se accarezzato sulla pelle, l’avrebbe protetta dal male e dal calore”.

È così che, secondo una leggenda sussurrata da generazioni di madri alle loro figlie, è nato il masonjoany: non solo una pasta profumata da stendere sul volto, ma un atto di memoria e resistenza. Un gesto che protegge, decora, guarisce. E custodisce l’identità delle donne come un segreto inciso sulla pelle.

Quella leggenda mi ha sempre affascinata. Da tempo desideravo incontrare le donne che ancora oggi ne custodiscono il significato, attraverso un gesto così antico e potente.

 

 

Ma cos’è davvero il masonjoany? E perché continua a essere profondamente radicato nella vita quotidiana?

Cos’è il masonjoany?

Il masonjoany è una pasta cosmetica tradizionale, di colore giallo ocra o bianco, che non appartiene a tutte le donne malgasce, ma che resiste con fierezza nelle comunità della costa nord-occidentale del Madagascar. Si ottiene grattugiando il legno di alcune piante sacre, come l’agnasoa o il famelona, e miscelandolo con acqua fino a formare una crema densa e profumata. A seconda della zona, viene preparato con legni profumati come il famelona o il cosiddetto ‘sandalo malgascio’, che ricorda il sandalo indiano ma appartiene a specie autoctone.

Si usa come protezione solare naturale, ma anche come trattamento di bellezza, espressione culturale e rito identitario.

Le origini e le etnie che lo tramandano

Il masonjoany ha radici antiche. È diffuso soprattutto nel nord del Madagascar, in particolare tra le donne Sakalava, Vezo e Antakarana, e in alcune zone di Nosy Be e Diego Suarez.

Le donne lo applicano ogni mattina, prima di uscire, o in occasione di cerimonie, feste religiose o funerali. In alcuni casi lo indossano anche i bambini, come protezione durante le ore più calde.

 

I disegni e i simboli: ogni volto è un racconto

Il masonjoany non è mai uguale. Se quello base copre l’intero volto (soprattutto naso, guance e fronte), alcune donne lo impreziosiscono con disegni geometrici o floreali, usando uno stecco o un bastoncino appuntito.

Fiori, stelle, foglie: simboleggiano bellezza, fertilità e connessione con la natura.

Linee e cerchi: evocano protezione, equilibrio e armonia. I puntini simboleggiano una connessione con gli spiriti degli antenati e si ritiene che proteggano da energie negative.

Simboli tribali: ogni etnia ha i suoi motivi ricorrenti, tramandati da madre a figlia. Talvolta applicati in occasione della pubertà, segnano il passaggio all’età adulta.

Bellezza rituale: spesso applicati durante le cerimonie, rappresentano grazia, fertilità e identità femminile. Sono portati con orgoglio per sottolineare la bellezza, la giovinezza e il valore delle ragazze.

Mentre attraversavamo i villaggi del nord del Madagascar, non ho potuto fare a meno di ricordare un altro viaggio, dall’altra parte del mondo: in Myanmar. Anche lì, le donne, e persino i bambini, si dipingono il volto con una pasta chiara ottenuta dal legno di sandalo, chiamata thanaka. Lo applicano con cura sulle guance e sulla fronte, in cerchi, foglie, fiori.

La funzione è simile: proteggere la pelle dal sole, decorare il volto, ma anche raccontare chi si è. È affascinante vedere come, pur così distanti, due culture abbiano sviluppato tradizioni così simili. Proprio come il masonjoany, il thanaka è molto più di un cosmetico: è un rituale quotidiano, un simbolo d’identità e appartenenza, che resiste anche oggi, nonostante il tempo e il cambiamento.

Sulle guance delle donne, il masonjoany non è solo tradizione: è un linguaggio silenzioso, una mappa identitaria disegnata con la luce del sole e la polvere degli alberi.